March 31, 2025
Clinical Research
Health Care
di Jacopo Montigiani
"Madda, sei più unica che rara." Questa frase, condivisa dal nostro collega Matteo Danti in un su LinkedIn dedicato alla sorella Maddalena Danti colpita da due malattie rare, cattura con affetto e profondità l'essenza stessa della questione che vogliamo affrontare oggi in questa riflessione. Nel suo tocco personale, questa definizione racchiude una verità fondamentale: dietro l'etichetta medica di "rarità" si celano persone uniche, ciascuna con la propria storia, dignità e valore inestimabile.
Immaginiamoci un mondo in cui la medicina, spesso celebrata per le sue conquiste su scala globale, si trovi di fronte a enigmi minuscoli, ma non per questo meno critici. Un mondo dove le malattie non si misurano in migliaia o milioni di casi, ma in decine, a volte persino in singole cifre. Questo mondo non è immaginario: è la realtà delle malattie ultra-rare, un territorio troppo spesso inesplorato dove ogni paziente è un pioniere, ogni diagnosi un traguardo, e ogni cura una speranza fragile ma tenace.
Queste patologie, che colpiscono meno di una persona su 50.000, sono come isole sperdute in un vasto oceano, ognuna con la propria geografia unica. Le famiglie che si trovano a navigare attorno ad acque sconosciute spesso si sentono sole, persino abbandonate, in un sistema sanitario, di ricerca e di produzione di farmaci e terapie pensati e progettati per affrontare tempeste più consuete, non le correnti insidiose di queste rarità.
La Giornata Mondiale delle Malattie Rare, celebrata lo scorso 28 febbraio, ha riacceso un faro su queste isole dimenticate. Ci ha ricordato che è arrivato il tempo di cambiare prospettiva, di ampliare una logica incentrata soltanto sul profitto economico che guida, comprensibilmente, la ricerca e la produzione di soluzioni e di abbracciare anche un paradigma che mette al centro il valore umano, scientifico e sociale.
E' pleonastico ricordare che dietro ogni numero, ogni statistica, c'è una storia, una vita, una famiglia, un mondo intero che ha il diritto di essere esplorato e compreso. E in questo viaggio, ogni passo, ogni scoperta, ogni piccolo progresso, si trasforma in un atto di umanità.
Definire il concetto di "ultra-raro" significa addentrarsi in un territorio dove i numeri sono estremamente ridotti, ma l'impatto sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie è immenso. Queste patologie, oltre alle sfide diagnostiche e terapeutiche comuni a tutte le malattie rare, presentano criticità amplificate dalla loro eccezionale rarità.
La rarità di queste patologie sottolinea l'urgenza di adottare strategie personalizzate che superino le logiche di scala convenzionali, rivelando una verità scomoda sulla nostra attuale impostazione dei sistemi di ricerca, assistenza e terapia che abbiamo costruito calibrati sulla normalità statistica, lasciando ai margini chi si trova nell'eccezione. È qui che diventa necessario un cambio di paradigma: dall'efficienza dei grandi numeri al valore dell'individualità.
Nella nostra epoca, che ha finalmente posto al centro i valori dell'inclusione e della tutela delle minoranze, i pazienti con malattie ultra-rare rappresentano paradossalmente la "minoranza delle minoranze" - gruppi così piccoli da risultare quasi invisibili nei processi decisionali della sanità pubblica e delle aziende del settore delle Scienze della Vita.
La loro condizione estrema ci pone di fronte a una domanda: se, come fra gli altri sostiene la filosofa Martha Nussbaum, il grado di civiltà di una società si misura da come tratta i suoi membri più vulnerabili, quale messaggio stiamo comunicando quando trascuriamo chi è colpito dalle patologie più rare?
Questo divario tra sistemi progettati per l'efficienza di scala e la realtà frammentata delle malattie ultra-rare produce conseguenze concrete. Un esempio emblematico è rappresentato dai percorsi diagnostici estenuanti che i pazienti sono costretti ad affrontare, una delle manifestazioni più evidenti di come l'attuale paradigma risulti inadeguato di fronte all'eccezionalità.
Il termine "odyssey diagnostica" descrive efficacemente il viaggio che molti pazienti affetti da malattie rare devono intraprendere: un percorso lungo in media 4,8 anni, che coinvolge almeno 8 medici diversi prima di giungere a una diagnosi corretta[1].
Per molte di queste patologie, l'80% delle quali ha origine genetica, la diagnosi rimane una sfida anche per i centri più specializzati.
L'odissea diagnostica, oltre a rappresentare una sofferenza per i pazienti e le loro famiglie, rivela anche una evidente inefficienza sistemica con profonde implicazioni economiche. Ogni diagnosi ritardata comporta costi elevati: trattamenti inappropriati, ripetuti accessi in pronto soccorso, perdita di produttività per pazienti e caregiver. Paradossalmente, è proprio cercando di ottimizzare le risorse attraverso approcci standardizzati che il sistema sanitario finisce per generare inefficienze quando si confronta con l'eccezionalità.
Quando, se non adesso, possiamo trasformare radicalmente l'approccio al problema? È il tempo giusto di passare dalla frustrazione di percorsi diagnostici frammentati alla costruzione di reti integrate, includendo anche gli enti regolatori, utilizzando con coraggio l'intero arsenale tecnologico a nostra disposizione: digital twins, intelligenza artificiale, calcolo quantistico, robotica e blockchain. Queste tecnologie ci permetterebbero di valorizzare ogni singolo caso come preziosa opportunità di conoscenza collettiva.
L'analisi puramente economica – con costi di sviluppo stimati in 1,5-2 miliardi di dollari per un nuovo farmaco[2] a fronte di mercati potenziali limitatissimi – non giustificherebbe mai questo impegno. Ed è proprio questo il cuore del necessario cambio di paradigma: riconoscere che il valore di questa ricerca si misura anche in una valuta diversa, quella dell'impatto etico, culturale e sociale e del suo ritorno per chi lo genera.
Ci piacerebbe introdurre un nuovo concetto da affiancare a quello di margine di profitto economico: il "Margine di Impatto Umano". Potrebbe rappresentare la metrica multidimensionale che integra il valore scientifico (conoscenze generate), sociale (miglioramento della qualità di vita), etico (equità nell'accesso alle cure) e reputazionale (fiducia degli stakeholder) generato dall'impegno in aree ad alto bisogno medico insoddisfatto ma basso ritorno economico diretto. Questo "margine" rappresenterebbe il ritorno non economico che avrebbe l'organizzazione "virtuosa" che lo genera.
In pratica, quando un'organizzazione della filiera del settore Life Science o della salute pubblica investe in malattie rare o ultra-rare genererà un margine di impatto umano che:
Questo capitale, seppur non direttamente misurabile in termini finanziari immediati, rappresenta un asset strategico che può influenzare positivamente il successo dell'organizzazione nel tempo.
Tutte le aziende del settore Life Science e della Salute Pubblica, anche quelle che come noi appartengono all'indotto come consulenti o CRO, dovrebbero quindi giocare un ruolo importante in questa trasformazione.
Quando, ad esempio, una CRO decide di investire risorse nella gestione di studi clinici per malattie rare e ultra-rare, sviluppando protocolli ad hoc e adattando metodologie per popolazioni estremamente limitate, non sta semplicemente operando in un segmento di mercato, ma deve pensare di abbracciare una missione che trascende il business tradizionale e la generazione di valore economico. Deve considerare di contribuire attivamente a creare un sistema in cui anche i pazienti con le condizioni più rare abbiano accesso a processi di qualità, generando un significativo 'Margine di Impatto Umano' diretto e indiretto.
Questa visione allargata del concetto di valore rappresenta l'evoluzione che tutto il settore dovrebbe abbracciare - dalle aziende farmaceutiche alle aziende di consulenza e CRO, dai centri clinici alle istituzioni. Riconosce come l'impatto positivo di un'impresa debba misurarsi anche attraverso parametri non economici, contribuendo a costruire una società più equa.
Sarebbe, infine, una potente dichiarazione sulla profondità dei valori su cui l'Azienda basa la propria cultura.
In questo contesto, è sempre più chiaro come la ricerca sulle malattie rare e ultra-rare non sia solo una sfida scientifica, ma anche un motore per un cambiamento culturale profondo. Questo cambiamento tocca i valori fondamentali del nostro sistema sanitario e del settore delle Scienze della Vita. In definitiva, un sistema sanitario avanzato e un settore all'avanguardia si distinguono non solo per la loro capacità di curare le malattie più comuni, ma anche per la loro determinazione a non lasciare indietro nessuno.
Proprio come queste patologie, spesso invisibili nella loro straordinaria rarità, il vero valore della ricerca, della capacità di trattamento, della produzione di farmaci o terapie trascende ciò che è immediatamente quantificabile in termini economici.
Rappresenta piuttosto un incremento significativo di quel "Margine di Impatto Umano" che abbiamo descritto come proposta di metrica per valutare il ritorno non economico: un investimento nei valori fondamentali che definiscono una società equa e rispettosa per ogni vita umana.
Sta anche a noi, a chi fa parte di questo settore, abbracciare questo nuovo paradigma per garantire che l'unicità di ogni persona diventi motivo di maggiore attenzione, non di esclusione, indipendentemente dalla rarità della sua condizione.
Con questo articolo, e con quelli che seguiranno, in JSB Solutions intendiamo mantenere acceso quel faro sulle malattie rare ed ultra-rare che la Giornata Mondiale del 28 febbraio scorso ha illuminato.
Il nostro impegno va oltre queste riflessioni condivise: siamo infatti orgogliosi di far parte del gruppo selezionato di aziende che supportano lo studio clinico sulla paraplegia spastica ereditaria, SPG50 – una malattia genetica degenerativa che colpisce solo tre persone in Italia e circa 60 nel mondo.
Lo studio, di prossimo avvio, rappresenta per noi un'opportunità che consideriamo un privilegio e una responsabilità, attraverso cui metteremo in pratica il paradigma centrato sul valore umano di cui abbiamo parlato.
Nelle prossime settimane, avremo il piacere di portare testimonianze dirette da due figure emblematiche nell'ambito delle malattie ultra-rare in generale e della SPG50 in particolare: Samuela Bellini, Vice Presidente dell'associazione "Un Raggio di Sole per Marty" e professionista con un'esperienza quasi ventennale nel settore della consulenza farmaceutica, che ha scelto di mettere le proprie competenze al servizio di una causa così significativa; e Jessica Pizzamiglio, fondatrice dell'associazione e madre di Martina, una giovane ragazza alla quale, dopo anni di ricerche, è stata diagnosticata la SPG50.
Queste interviste ci permetteranno di esplorare direttamente l'impatto umano di queste condizioni e il valore inestimabile delle iniziative che mettono al centro la persona, non il numero. Perché è proprio nella connessione tra competenze professionali, esperienza personale e impegno sociale che possiamo trovare la chiave per il cambiamento di paradigma reale e duraturo.
[1] Dati dalla ricerca "Rare Disease Impact Report" di Shire, ora parte di Takeda Pharmaceutical.
[2] https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/
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